Guida definitiva alla separazione consensuale e giudiziale

Questa guida sintetica illustra, con taglio pratico ma rigoroso, le tappe fondamentali della separazione consensuale e giudiziale, chiarendone requisiti, tempi e conseguenze. In poche pagine troverai indicazioni affidabili per tutelare al meglio i tuoi diritti e quelli della tua famiglia, alla luce della normativa vigente e della giurisprudenza più recente.


1. Cos’è la separazione personale dei coniugi e a cosa serve

La separazione personale dei coniugi, disciplinata dagli artt. 150 e ss. del codice civile, è l’istituto attraverso il quale due coniugi possono sospendere alcuni effetti del matrimonio, pur restando formalmente sposati, quando la prosecuzione della convivenza è divenuta intollerabile o potenzialmente pregiudizievole per i figli.

Con la separazione personale vengono meno, in particolare:

  • il dovere di coabitazione, cioè l’obbligo di vivere sotto lo stesso tetto;
  • il dovere di fedeltà, inteso come esclusività affettiva e sessuale tra i coniugi.

Restano invece fermi:

  • l’obbligo di assistenza materiale, ossia il dovere di aiutarsi e mantenersi economicamente tra coniugi in caso di necessità;
  • gli obblighi verso i figli, compreso il mantenimento, l’educazione e la cura;
  • i diritti ereditari.

La separazione può essere consensuale o giudiziale.
La separazione consensuale consiste, in sostanza, nell’autorizzazione a vivere separati nel reciproco rispetto, sulla base di un accordo tra i coniugi.
Quando invece l’accordo non c’è, occorre avviare un vero e proprio giudizio civile davanti al Tribunale: la separazione giudiziale.

Oltre a regolare i rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi, la separazione ha anche un’altra funzione fondamentale: è il presupposto imprescindibile per poter divorziare (salvo alcuni rari casi).

Se la separazione è consensuale, si può chiedere il divorzio dopo sei mesi;
Se la separazione è giudiziale, il termine è di dodici mesi.
In entrambi i casi, il termine decorre dalla data di comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale oppure dalla data certificata dell’accordo con negoziazione assistita o in Comune.

Infine, la separazione rappresenta un importante periodo di riflessione: un’occasione per valutare se porre definitivamente fine al matrimonio o, al contrario, tentare una riconciliazione.

Hai bisogno di chiarimenti sul tuo caso? Prenota subito una consulenza oppure scrivimi qui.

2. Tipi di separazione: consensuale e giudiziale

La separazione personale dei coniugi può avvenire in due modalità diverse: consensuale o giudiziale. La differenza sta nel fatto che, nel primo caso, i coniugi sono pienamente d'accordo su tutte le condizioni della separazione; nel secondo, invece, non vi è intesa e occorre l'intervento del giudice.

Quando marito e moglie riescono a trovare un accordo su ogni aspetto, come l’affidamento dei figli, l’assegnazione della casa familiare e le questioni economiche, si può procedere con la separazione consensuale. È una via più rapida, meno onerosa e solitamente meno conflittuale.

Se anche solo uno di questi punti resta irrisolto, sarà necessario promuovere un procedimento davanti al Tribunale. In tal caso si parla di separazione giudiziale, e sarà il giudice a decidere sulle condizioni della separazione o a cercare di far trovare un accordo alle parti.

In entrambi i casi l’obiettivo è lo stesso: regolare in modo chiaro e legalmente valido i rapporti tra i coniugi, e, se vi sono figli, quelli familiari ed economici connessi alla loro cura e al loro mantenimento.

Il percorso da seguire e i tempi per arrivare a una soluzione, però, sono molto diversi.

2.1 Separazione consensuale

La separazione consensuale è la via preferibile quando i coniugi riescono a trovare un accordo su tutte le condizioni della separazione: affidamento dei figli, casa familiare, mantenimento, spese e rapporti patrimoniali. Si tratta di una scelta che permette di contenere i tempi, i costi e spesso anche la conflittualità.

La legge consente di formalizzare questo accordo con tre modalità alternative, tutte pienamente valide ed equiparate negli effetti giuridici.

2.1.1. Ricorso congiunto al Tribunale

I coniugi, con l’assistenza di uno o due avvocati, presentano un ricorso congiunto al Tribunale nel quale indicano le condizioni concordate.
Con la riforma Cartabia del 2023 non è più necessaria la loro comparizione personale davanti al giudice: l’udienza può essere sostituita da note scritte, salvo che il giudice ritenga necessario disporre una convocazione.
Se non vi sono particolari criticità il Tribunale decide in tempi piuttosto rapidi. Il collegio emette sentenza, che produce tutti gli effetti della separazione personale.

2.1.2. Negoziazione assistita

La separazione consensuale può essere conclusa anche senza ricorso al Tribunale, davanti agli avvocati (separazione in house).
È sufficiente che ciascun coniuge sia assistito da un avvocato, e che l’accordo venga formalizzato tramite una convenzione di negoziazione assistita.
L’accordo viene trasmesso al Pubblico Ministero per il controllo ed il rilascio dell’autorizzazione o nulla osta, a seconda che vi siano figli o meno. Successivamente viene inviato all’Ufficiale di Stato Civile del Comune in cui il matrimonio fu trascritto da parte degli avvocati.

2.1.3. Separazione in Comune

In assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, e a condizione che l’accordo non abbia contenuto patrimoniale, i coniugi possono comparire, due volte a distanza di almeno un mese, direttamente davanti all’Ufficiale di Stato Civile per rendere dichiarazione congiunta di separazione.
La procedura è semplice ed economica, ma applicabile solo a situazioni particolarmente semplici e lineari.

2.1.4. Tempi e costi

I tempi della separazione consensuale sono generalmente contenuti.
Il passaggio più lungo, in molti casi, è proprio quello iniziale: trovare un accordo equilibrato tra le parti. Una volta definito l’accordo, la procedura si svolge in modo piuttosto rapido.

Con ricorso congiunto al Tribunale, la sentenza viene normalmente pronunciata entro due o tre mesi.
Con la negoziazione assistita, i tempi si riducono ulteriormente e spesso sono sufficienti poche settimane.
La separazione resa davanti all’Ufficiale di Stato Civile richiede da uno a qualche mese, a seconda della prontezza dell’ufficio e della disponibilità per l’appuntamento.

Anche i costi sono contenuti. La spesa principale è rappresentata dal compenso dell’avvocato. Le spese vive sono in genere minime, e, nel caso della negoziazione assistita, del tutto assenti. Per approfondire le tariffe visita questa pagina sui costi della separazione.

2.1.5 Perché conviene

Quando le condizioni lo permettono, la separazione consensuale rappresenta quasi sempre la scelta più vantaggiosa.
Consente di affrontare la crisi con lucidità e rispetto reciproco, tutela l’interesse dei figli, evita il percorso del contenzioso e riduce al minimo l’impatto emotivo della separazione.

È anche espressione di responsabilità e maturità da parte dei coniugi, che scelgono di regolare volontariamente i propri rapporti, senza dover delegare a un giudice decisioni che li riguardano direttamente.

2.2. Separazione giudiziale

Quando tra i coniugi manca l’accordo anche solo su uno degli aspetti della separazione, è necessario ricorrere alla separazione giudiziale. In questo caso, il conflitto viene portato davanti al Tribunale, che sarà chiamato a decidere sulle condizioni della separazione attraverso una vera e propria causa civile che prevede la comparizione personale delle parti alla prima udienza.

La separazione giudiziale non è una semplice alternativa, ma una soluzione obbligata quando non vi è dialogo, quando sussistono situazioni di particolare gravità o quando uno dei coniugi si oppone apertamente alla separazione o alle condizioni proposte dall’altro.

2.2.1 Quando si ricorre alla via giudiziale

Le ragioni per cui si è costretti a intraprendere la separazione giudiziale sono le più diverse:

  • disaccordo sull’affidamento dei figli o sulla loro collocazione prevalente;
  • contrasti sull’assegnazione della casa coniugale o sull’ammontare dell’assegno di mantenimento;
  • assenza di comunicazione o di volontà collaborativa da parte di uno dei due coniugi;
  • oppure situazioni più delicate, che coinvolgono comportamenti lesivi della dignità o della serenità familiare.

Non si tratta soltanto di definire condizioni economiche, ma spesso di ristabilire un equilibrio giuridico dove il conflitto ha superato ogni possibilità di mediazione.

2.2.2 Il procedimento giudiziale

La separazione giudiziale si avvia con un ricorso unilaterale, presentato da uno dei coniugi. Il giudice fissa l’udienza di comparizione, durante la quale i coniugi verranno ascoltati personalmente; concede inoltre i termini per la costituzione dell’altro coniuge e per il deposito delle ulteriori difese, il tutto prima dell’udienza.

In sede di prima udienza, all’esito della discussione, il Tribunale può adottare i primi provvedimenti urgenti, ad esempio sull'affidamento dei figli, sull'assegnazione della casa familiare o sul mantenimento della prole.

A seconda dei casi potrà seguire poi una fase istruttoria, che può durare anche diversi mesi, in cui vengono raccolte le prove (documenti, testimonianze, relazioni dei servizi sociali ecc.) utili per decidere. All’esito, il Tribunale pronuncia sentenza, stabilendo in modo definitivo le condizioni della separazione.

In ogni momento, tuttavia, le parti possono raggiungere un accordo e trasformare il procedimento giudiziale in separazione consensuale. È un’opportunità che spesso si coglie in corso di giudizio, anche grazie alla mediazione degli avvocati o all’invito del giudice.

2.2.3 Tempi e complessità della separazione giudiziale

I tempi della separazione giudiziale sono inevitabilmente più lunghi rispetto a quelli della consensuale. Molto dipende dal grado di conflittualità e dal carico del Tribunale, ma non è raro che si arrivi a una sentenza dopo più di un anno dall’iscrizione a ruolo.

È una strada più onerosa, sia sul piano economico che emotivo, e comporta un confronto giudiziario che può inasprire gli animi e le tensioni, soprattutto in presenza di figli o questioni economiche.

Per questo motivo, pur essendo un percorso inevitabile in molti casi, la separazione giudiziale dovrebbe essere considerata come l’ultima risorsa, da attivare solo quando non è possibile trovare una soluzione condivisa attraverso la mediazione e la pratica collaborativa.

Hai bisogno di chiarimenti sul tuo caso? Prenota subito una consulenza oppure scrivimi qui.

3. L’addebito della separazione

In alcuni casi, la separazione non si limita a regolare i rapporti futuri tra i coniugi, ma comporta anche una valutazione di responsabilità. Il giudice, infatti, può stabilire che la causa della crisi coniugale sia attribuibile in via esclusiva a uno dei due coniugi: si parla in questo caso di separazione con addebito.

L’addebito non è automatico, ma deve essere espressamente richiesto da uno dei coniugi e provato in giudizio.

L’addebito non ha una natura penale, ma comporta comunque conseguenze giuridiche significative per il coniuge ritenuto responsabile. Non si tratta solo di accertare le cause della separazione: l’addebito può infatti limitare o escludere diritti economici, e sotto questo profilo ha anche una funzione in parte punitiva.

3.1 Quando si può chiedere l’addebito della separazione

Le ipotesi più frequenti di richiesta di addebito sono legate a:

  • infedeltà coniugale;
  • abbandono del tetto familiare senza giustificazione;
  • comportamenti violenti, umilianti o gravemente offensivi dell’altro coniugi;
  • gravi omissioni non colpose nell’adempimento dei doveri familiari.

Tuttavia, non è sufficiente dimostrare che la violazione dei doveri matrimoniali si è verificata. Occorre anche provare il nesso causale diretto tra quel comportamento e la crisi del matrimonio. Se la convivenza era già compromessa da tempo, ad esempio, un tradimento può non essere considerato causa della separazione e non condurre all’addebito. Se invece si dimostra, anche attraverso messaggi o altre testimonianze, che prima del tradimento la coppia era unita, serena e affettuosa, allora il tradimento può essere ritenuto la causa scatenante e quindi giustificare l’addebito.

3.2 Quali sono le conseguenze dell’addebito

Il coniuge cui viene addebitata la separazione subisce effetti giuridici rilevanti, soprattutto sul piano economico e successorio:

  • Perde innanzitutto il diritto all’assegno di mantenimento, anche se si trova in stato di bisogno. In casi particolari e gravi, può comunque conservare il diritto agli alimenti, se ne ricorrono le condizioni.
  • Decade inoltre da ogni diritto successorio nei confronti dell’altro coniuge e pertanto non potrà ereditare.
  • Infine, il giudice può condannarlo al pagamento delle spese legali sostenute dall’altro coniuge nel procedimento di separazione.

Restano invece del tutto invariati i doveri verso i figli: l’addebito non ha alcun impatto sulla responsabilità genitoriale, sull’obbligo di mantenimento o sul diritto di frequentazione. I rapporti tra genitori e figli restano autonomi e indipendenti dalle responsabilità coniugali.

3.3 L’addebito della separazione: una valutazione delicata

La richiesta di addebito è sempre una scelta delicata, che comporta inevitabili riflessi sul piano personale e processuale.

Va valutata con attenzione insieme al proprio avvocato, tenendo conto del contesto, dell’utilità, delle prove disponibili e dell’effettiva rilevanza giuridica dei comportamenti contestati. In alcuni casi può avere senso procedere con determinazione. In altri, può essere preferibile rinunciare all’addebito per favorire una soluzione più serena e costruttiva.

Hai bisogno di chiarimenti sul tuo caso? Prenota subito una consulenza oppure scrivimi qui.

4. La separazione con figli

Quando vi sono figli minori, il focus principale della separazione sono proprio loro: le modalità con cui i genitori continueranno a esercitare la responsabilità genitoriale diventano l’aspetto più delicato da regolare.

Il principio di riferimento è quello dell’affido condiviso, previsto come regola generale dall’art. 337-ter c.c.
Significa che entrambi i genitori, anche se separati, mantengono uguali doveri e diritti nelle decisioni importanti che riguardano i figli: salute, educazione, istruzione, crescita.

Di norma viene individuato un genitore collocatario, presso cui i figli vivranno prevalentemente e presso il quale verrà fissata anche la residenza anagrafica.
All’altro genitore viene riconosciuto un diritto di visita più o meno ampio, regolare e garantito, che può articolarsi in giornate settimanali, weekend alternati e periodi di vacanza.

Solo in casi eccezionali e motivati, come gravi inadeguatezze, trascuratezza o situazioni pregiudizievoli, il giudice può disporre l’affido esclusivo o super esclusivo, attribuendo le principali responsabilità a un solo genitore.

4.1 Mantenimento dei figli

In ogni separazione con figli minorenni o maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti, il dovere di mantenimento resta centrale e inderogabile.
Entrambi i genitori sono tenuti a contribuire in proporzione alle rispettive capacità economiche e secondo il principio della bigenitorialità, anche se i figli vivono prevalentemente con uno solo di essi.

Il genitore non collocatario versa normalmente un assegno mensile di mantenimento a favore dei figli, destinato a coprire le spese ordinarie: alimentazione, abbigliamento, scuola, cure mediche di base e tutte le esigenze quotidiane.

L’importo viene stabilito tenendo conto di vari fattori, tra cui:

  • il reddito e il tenore di vita della famiglia prima della separazione;
  • il numero e l’età dei figli;
  • i tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore;
  • la disponibilità di una casa e altri beni;
  • la presenza di altri oneri economici.

Il mantenimento può essere stabilito anche in forma diretta, se vi è un collocamento paritario e i genitori hanno entrambi una simile capacità economica.
In tal caso ciascun genitore provvede direttamente ai bisogni dei figli quando sono con lui, senza trasferimenti di denaro; i genitori si limiteranno a dividere le c.d. spese extra assegno.

4.2 Spese straordinarie

Accanto al mantenimento ordinario dei figli, vi sono le cosiddette spese straordinarie, ossia quei costi che, per natura o entità, esulano dalla quotidianità e richiedono una gestione distinta.
Sono quelle spese – come si dice in gergo – imprevedibili nell’“an” e non determinabili a priori nel “quantum”, perché afferiscono a esigenze episodiche e saltuarie, oppure a eventi eccezionali e non rientranti nelle normali consuetudini di vita dei figli.

Si tratta quindi di spese che:

  • non sono prevedibili con regolarità;
  • di norma richiedono l’accordo di entrambi i genitori;
  • non sono incluse nell’assegno di mantenimento mensile.

Esempi comuni di spese straordinarie sono:

  • visite mediche specialistiche, interventi chirurgici o terapie;
  • spese scolastiche, come gite, libri di testo, corsi di recupero;
  • attività sportive, artistiche o formative di rilievo (es. corsi musicali, danza, sport agonistico);
  • acquisto di strumenti costosi per lo studio o la salute del minore.

Salvo diversi accordi, le spese straordinarie vengono sostenute da entrambi i genitori nella misura del 50% ciascuno, oppure in proporzione al rispettivo reddito (es. 30% un genitore e 70% l’altro).

Una delle cause che più frequentemente alimenta il conflitto tra i genitori nella fase patologica della crisi familiare riguarda proprio:

  • l'individuazione di quali spese rientrino nel mantenimento ordinario;
  • la corretta qualificazione delle spese extra assegno, in relazione all’entità e alle modalità di contribuzione.

Per questo motivo, gli accordi di separazione fanno spesso espresso rinvio a protocolli specifici che forniscono linee guida dettagliate sulla gestione delle spese straordinarie, tra cui:

  • le Linee Guida del Consiglio Nazionale Forense (CNF), adottate il 29 novembre 2017;
  • il Protocollo del Tribunale di Milano, adottato il 14 novembre 2017.

Infine, è bene ricordare che l’omesso rimborso delle spese straordinarie da parte di un genitore può essere azionato in via coattiva, attraverso decreto ingiuntivo o esecuzione forzata, purché sia adeguatamente documentato.

4.3 Il ruolo del giudice e l’interesse del minore

In tutte le cause di separazione in cui siano coinvolti figli minorenni (o maggiorenni non ancora autosufficienti), il giudice è tenuto per legge a vigilare sull’interesse morale e materiale della prole.

Questo principio, sancito dall’art. 337-ter c.c., è il fulcro attorno al quale ruotano tutte le decisioni relative ai figli: affido, collocamento, mantenimento, spese straordinarie, diritto di visita.
Il giudice non si limita a ratificare gli accordi dei genitori, ma li valuta attentamente sotto il profilo della loro idoneità a garantire il benessere e l’equilibrio psico-fisico dei figli.

Nel farlo, può:

  • disporre accertamenti tramite i servizi sociali;
  • nominare un curatore speciale se il conflitto è molto acceso;
  • ordinare l’ascolto del minore, se ha compiuto 12 anni (o anche prima, se capace di discernimento), come previsto dall’art. 315-bis c.c.

Anche quando le parti propongono un accordo (nella separazione consensuale o in sede di negoziazione assistita), il giudice ha comunque il potere-dovere di verificare che le condizioni non siano pregiudizievoli per i figli. Se ritiene che non lo siano, può richiedere modifiche o persino rigettare l’accordo, tutelando l’interesse superiore del minore.

Si tratta di un controllo non solo formale, ma sostanziale: il Tribunale si pone come garante della legalità e della protezione dei più vulnerabili, anche a costo di scontentare le parti.

4.4 Modifica delle condizioni relative ai figli

Le condizioni stabilite in sede di separazione per i figli – come il mantenimento, l’affido, il collocamento o le modalità di visita – non sono immutabili.
La legge prevede espressamente che, in presenza di un giustificato motivo, ciascun genitore possa chiedere al giudice di modificarle o revocarle, per adeguarle a mutamenti sopravvenuti nella situazione familiare, economica o personale.

Può trattarsi, ad esempio:

  • del trasferimento di uno dei genitori in un’altra città;
  • della perdita del lavoro o dell’incremento significativo del reddito;
  • della nascita di una nuova famiglia o di altri figli;
  • di cambiamenti rilevanti nelle esigenze o nello stato di salute dei minori;
  • oppure della mancata osservanza delle condizioni da parte di uno dei genitori.

In questi casi, la parte interessata può rivolgersi al Tribunale competente tramite ricorso per modifica delle condizioni di separazione.
Il giudice, come sempre, deciderà ponendo al centro l’interesse dei figli, valutando se le modifiche proposte siano giustificate e funzionali al loro benessere.

Anche quando le condizioni siano state stabilite dal giudice per via giudiziale, è sempre possibile rivederle in via stragiudiziale, purché con l’accordo di entrambi i genitori.

Hai bisogno di chiarimenti sul tuo caso? Prenota subito una consulenza oppure scrivimi qui.

5. L’assegnazione della casa familiare nella separazione

Uno degli aspetti più delicati nella crisi coniugale è rappresentato dall’assegnazione della casa familiare o casa coniugale, ossia l’abitazione nella quale si è svolta la vita della famiglia e dove i figli hanno il loro ambiente di crescita.
La legge tutela in via prioritaria l’interesse morale e materiale della prole, e proprio per questo il criterio principale nella scelta su chi manterrà il godimento della casa non è la proprietà, ma il collocamento dei figli.

5.1 Il principio guida: tutela dei figli

Ai sensi dell’art. 337-sexies c.c., la casa è assegnata al genitore collocatario dei figli, cioè a colui presso il quale i figli vivono stabilmente e hanno la residenza anagrafica.
Lo scopo è garantire loro la continuità dell’ambiente domestico e scolastico, preservando gli equilibri affettivi e abitativi già consolidati.

Di conseguenza:

  • se i figli minori vengono collocati prevalentemente presso la madre, la casa viene di norma assegnata a lei, anche se di proprietà del padre;
  • se i figli sono collocati presso il padre, sarà lui a mantenere il godimento dell’abitazione;
  • se i figli sono affidati con modalità paritarie e alternanza di permanenza, la valutazione è più articolata. In questi casi, sempre più Tribunali tendono a “lasciare la casa ai figli”, consentendo ai genitori di utilizzarla a rotazione, nei periodi in cui sono collocatari.

5.2 Effetti dell’assegnazione

L’assegnazione della casa non trasferisce la proprietà, ma attribuisce un diritto personale di godimento, che si estingue con il venir meno dei presupposti (es. raggiungimento della maggiore età e autosufficienza dei figli).
Il provvedimento di assegnazione può essere trascritto nei pubblici registri immobiliari, opponibile ai terzi e persino al proprietario.

Nel caso in cui l’immobile sia condotto in locazione, il genitore assegnatario subentra automaticamente nel contratto di affitto, ai sensi dell’art. 6 L. 392/1978.

5.3 Quando non ci sono figli

Se non vi sono figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, la casa familiare segue le regole della proprietà o del contratto di locazione.
Il giudice non può disporre l’assegnazione della casa a uno dei coniugi se non vi è un legame diretto con l’interesse dei figli.
In tal caso, sarà necessario regolarsi in base alla titolarità del bene e agli eventuali accordi tra le parti.

Hai bisogno di chiarimenti sul tuo caso? Prenota subito una consulenza oppure scrivimi qui.

6. L’assegno di mantenimento tra coniugi

In sede di separazione, il giudice può disporre che uno dei due coniugi versi all’altro un assegno di mantenimento, se sussistono determinati presupposti.
Non si tratta di un automatismo, ma di una misura fondata su un principio di solidarietà coniugale, ancora vigente fino al divorzio.

6.1 Quando è dovuto l’assegno di mantenimento per il coniuge

L’assegno di mantenimento viene riconosciuto solo se il coniuge richiedente non ha mezzi adeguati o non può procurarseli per ragioni oggettive (es. età, salute, difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro).
Il giudice valuta caso per caso, tenendo conto di diversi fattori, tra cui:

  • il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio;
  • la durata del matrimonio;
  • le condizioni economiche e patrimoniali di entrambi;
  • l’età e lo stato di salute dei coniugi;
  • la presenza di figli minori o disabili a carico.

6.2 Come si calcola l’assegno di mantenimento per il coniuge

Non esiste un criterio matematico rigido per stabilire l’assegno di mantenimento, non troverai alcuna percentuale nel codice civile.
Esiste naturalmente una prassi giurisprudenziale. Il giudice valuta caso per caso, tenendo conto della disparità economica tra i coniugi, dei redditi effettivi e potenziali, della disponibilità patrimoniale e della capacità lavorativa di ciascuno.
Un aspetto fondamentale è che, a differenza dell’assegno divorzile, nella separazione il giudice considera ancora il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio come parametro di riferimento dell’assegno.

6.3 Quando non è dovuto l’assegno di mantenimento per il coniuge

  • Se il coniuge richiedente è economicamente autosufficiente;
  • Se non vi è stata alcuna disparità sostanziale durante il matrimonio;
  • Se viene addebita la separazione a chi lo richiede: in tal caso perde il diritto al mantenimento, salvo che non versi in condizioni tali da giustificare solo un assegno alimentare (cioè per i bisogni essenziali).

6.4 Durata dell’obbligo di mantenimento del coniuge

L’assegno di mantenimento dura fino al divorzio, salvo che intervengano modifiche nelle condizioni economiche delle parti, oppure una nuova convivenza stabile del coniuge beneficiario, che può comportare la revoca o la revisione dell’importo.

Hai bisogno di chiarimenti sul tuo caso? Prenota subito una consulenza oppure scrivimi qui.

7. La divisione dei beni e il regime patrimoniale

Uno degli aspetti più delicati della separazione riguarda la gestione e la divisione del patrimonio coniugale, che dipende in gran parte dal regime patrimoniale scelto all’atto del matrimonio: comunione legale o separazione dei beni.

7.1 Comunione legale dei beni

Se i coniugi erano in comunione legale, tutto ciò che è stato acquistato dopo il matrimonio (esclusi i beni personali) appartiene in parti uguali ad entrambi, anche se intestato a uno solo.

Fanno parte della comunione:

  • immobili acquistati durante il matrimonio;
  • mobili, arredi, risparmi accumulati in costanza di comunione;
  • aziende gestite da entrambi i coniugi.

Restano esclusi:

  • i beni personali (ricevuti in eredità o donazione, oppure acquistati prima del matrimonio);
  • i beni ad uso strettamente personale;
  • i risarcimenti per danni alla persona.

Con la separazione, si scioglie automaticamente la comunione legale, e i beni devono essere divisi in ragione del 50% ciascuno.

7.2 Separazione dei beni

Se invece i coniugi avevano optato per la separazione dei beni, ognuno resta proprietario esclusivo di ciò che ha acquistato o possiede, salvo comproprietà volontarie.

In questi casi, non vi è scioglimento da attuare, ma può essere comunque necessario regolare:

  • eventuali beni cointestati;
  • somme di denaro o investimenti gestiti in comune;
  • rimborsi o restituzioni, se uno ha contribuito in modo rilevante all’acquisto di beni intestati all’altro (sebbene di norma non dovuti).

7.3 La comunione de residuo: cos’è e quando opera

Un aspetto spesso trascurato, ma importante da conoscere, è quello della comunione de residuo, disciplinata dall’art. 177, lett. b) e c), c.c.
Si tratta di beni che durante il matrimonio restano di proprietà esclusiva del coniuge che li ha acquistati, ma che entrano in comunione solo al momento dello scioglimento del regime patrimoniale, quindi in caso di separazione.

Rientrano nella comunione de residuo:

  • i redditi personali di ciascun coniuge (stipendi, rendite, utili da impresa individuale),
  • i proventi derivanti dall’attività separata di ciascun coniuge,
  • i frutti dei beni propri.

Questi beni restano personali finché non vengono consumati o investiti. Solo quelli ancora esistenti al momento della separazione confluiscono nella comunione e sono soggetti a ripartizione al 50%.

Hai bisogno di chiarimenti sul tuo caso? Prenota subito una consulenza oppure scrivimi qui.

8. Riconciliazione e revoca della separazione

La separazione personale non segna necessariamente la fine del matrimonio; essa infatti è stata pensata dal legislatore come periodo di ripensamento e riflessione. I coniugi, infatti, possono riconciliarsi in qualsiasi momento, decidendo di riprendere la convivenza e i rapporti affettivi e patrimoniali interrotti.

8.1 Cos’è la riconciliazione

La riconciliazione è il ritorno alla vita coniugale, in senso pieno: non solo la coabitazione, ma anche la ripresa della comunione di vita e dei doveri reciproci (fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione).

È sufficiente un comportamento chiaro e univoco, da cui si desuma la volontà di ripristinare il rapporto coniugale. E’ anche annullabile facilmente e senza troppe formalità attraverso una dichiarazione di riconciliazione da farsi in Comune davanti all’ufficiale di Stato civile.

8.2 Effetti della riconciliazione

Fa cessare gli effetti della separazione: riprendono tutti i doveri e i diritti matrimoniali, compreso l’obbligo di fedeltà e coabitazione.

Impedisce la proposizione del divorzio, perché viene meno il presupposto della separazione.

Attenzione: se la riconciliazione è solo temporanea o apparente, e la crisi si ripresenta, sarà necessario avviare una nuova procedura di separazione (non si può “riattivare” la precedente).

9. Richiedi una consulenza personalizzata al nostro studio

So bene che parlare di separazione non è mai semplice.
Dietro ogni decisione ci sono emozioni, fatiche, incertezze. Nessuno arriva a questo punto a cuor leggero, e ogni famiglia ha la sua storia, con sfumature che nessun manuale può raccontare davvero.

Questa guida vuole essere uno strumento utile per orientarti, per darti qualche certezza in più e aiutarti a capire quali siano le strade percorribili.
Ma il diritto di famiglia non è fatto solo di articoli di legge: è fatto di persone.
E ogni caso merita attenzione, ascolto, rispetto.

Se stai vivendo un momento di crisi, o anche solo se vuoi capire meglio come tutelare te stessa/o e i tuoi figli, ti invito a contattarmi.
Lavoro con riservatezza e serietà, cercando sempre – dove possibile – soluzioni pacifiche e sostenibili, prima ancora che giuridicamente corrette.

Puoi prenotare una sessione di consulenza direttamente online:
www.studiocibin.com/prenota-online
Ricevo in studio a Milano oppure in videocall, se preferisci.

Per maggiori informazioni, chiarimenti, consulenze legali o per richiedere un preventivo, non esitare a contattarci

Evita attese e prenota comodamente online: verifica la disponibilità e fissa la tua consulenza legale con un click!

Contatti

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

+39 02.87.18.62.75

+39 02.45.07.28.91

Instagram TikTok YouTube